ELEZIONI IN BOLIVIA: LA DESTRA VA AL BALLOTTAGGIO
La Bolivia svolta a destra dopo venti anni di governo del Movimento al Socialismo, vanno al ballottaggio il 19 ottobre prossimo Rodrigo Paz Pereira e Jorge ‘Tuto’ Quiroga, deludente il risultato dei partiti del blocco di sinistra.
Con i risultati ancora non definitivi i candidati Rodrigo Paz Pereira, del Partito Democratico Cristiano (PDC) e Jorge ‘Tuto’ Quiroga, dell’Alleanza Libera, guidano i conteggi in Bolivia, ha riferito domenica la Corte Suprema Elettorale (TSE) dopo aver divulgato i risultati preliminari delle elezioni generali.
Al primo posto si è classificato a sorpresa Rodrigo Paz Pereira, con il 32 per cento dei voti, al secondo troviamo Jorge ‘Tuto’ Quiroga, con il 26 per cento dei suffragi al terzo Samuel Doria Medina con il 19 per cento. Il candidato ufficiale del Mas, Eduardo del Castillo, si è fermato a un deludente 3,2 per cento, , mentre il presidente del Senato Andrónico Rodríguez che si è presentato per Alianza Popular non è andato oltre l’8 per cento, piazzandosi al quarto posto.
Sul deludente risultato elettorale dei partiti di sinistra oltre le divisioni ha pesato la decisione di Evo Morales di invitare i suoi elettori e simpatizzanti al voto nullo o all’astensione. Una decisione presa dopo che è stato inabilitato alle elezioni e, quindi, per protesta ha boicottato le consultazioni.
Ciò che è avvenuto ieri in Bolivia mi ricorda quanto accaduto nell’aprile del 2021 in Ecuador quando Yaku Perez che si presentava per il Movimento indigeno Pachakuti, al ballottaggio tra il candidato conservatore Guillermo Lasso e Andrés Arauz, che si presentava per il correismo, chiese ai suoi elettori di votare scheda bianca facendo vincere per pochi voti il candidato della destra.
La decisione di Evo Morales di boicottare le elezioni mi sembra quella che aveva fatto un uomo che si era tagliato i gioielli di famiglia per far dispetto alla moglie. A parte l’ironia sembra proprio che la storia non insegni nulla. L’inabilitazione di Evo Morales potrebbe essere stata anche un modo per escluderlo dalle elezioni, ma chiedere ai suoi sostenitori di non votare equivale al suo suicidio politico e alla consegna del paese andino alla destra. Adesso sarà contento.
Evidentemente l’orgoglio ha vinto sulla ragione e, come cantava Vasco Rossi in una celebre canzone, “l’orgoglio ne ha uccisi più lui che il fenoglio”.
Ma vediamo chi sono i due candidati che si scontreranno il prossimo 19 ottobre.
Rodrigo Paz Pereira è un senatore, figlio dell’ex presidente Jaime Paz Zamora, che non si è evidenziato in nessuno dei sondaggi, che lo hanno tenuto tra gli ultimi nell’intenzione di voto. È un economista di professione con un master in Gestione Politica presso l’American University degli Stati Uniti.
Nato in Spagna, Paz Pereira è un politico con una vasta esperienza, alle elezioni generali del 2002 è stato eletto deputato e nel 2015 è stato eletto sindaco di Tarija, situato nell’omonimo dipartimento, sotto l’acronimo del Movimento di Sinistra Rivoluzionaria (MIR).
Questa volta si è candidato per il Partito Cristiano Democratico (PDC), con il quale propone un salario universale per le donne, miglioramenti educativi e unità nazionale per risolvere i problemi della nazione andina.
Infatti, in una recente intervista con Radio Panamericana ha parlato di tre punti centrali del suo ipotetico gabinetto: un piano 50-50, cioè metà delle risorse destinate allo Stato centrale e il resto alle regioni, come parte di un “nuovo accordo nazionale di convivenza”.
La sua seconda proposta chiave è “capitalismo per tutti”, attraverso crediti a basso costo con una rispettiva riduzione di tasse e dazi, con l’obiettivo di promuovere il commercio, anche se ha escluso un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Vuole “chiudere la dogana corrotta” per acquisire una migliore tecnologia e promuovere l’industria boliviana.
In terzo luogo vuole attuare una “lotta frontale per riformare la giustizia”, con una feroce lotta contro la corruzione. Per questo vuole mettere insieme una commissione nazionale “con i migliori uomini e donne”.
Tuto Quiroga si è formato come ingegnere e amministratore aziendale nelle università statunitensi, Jorge Fernando Quiroga Ramírez, meglio conosciuto come ‘Tuto’, è stato uno dei politici che ha governato la Bolivia in uno dei suoi periodi più turbolenti.
Ha ricoperto il ruolo di capo di Stato ad interim (2001-2002) dopo che Hugo Banzer ha lasciato la presidenza a causa di una diagnosi di cancro. Quiroga era il suo vicepresidente, un ruolo che ha lasciato molte domande senza risposta.
Banzer ha comandato in Bolivia in modo dittatoriale tra il 1971 e il 1978, prima di scommettere sulla democrazia negli anni ’90. Quando Quiroga ha lasciato l’incarico nel 2002, ha alternato la politica attiva con il suo lavoro in forum multilaterali e missioni internazionali, diventando uno dei volti più visibili della destra latinoamericana.
Quiroga ha un piano di governo con “sette pilastri”: salvare l’economia; riattivare la produzione; proprietà popolare; Bolivia digitale; democrazia, autonomia, giustizia e sicurezza; politica sociale; e reinserimento internazionale.
“A 65 anni, promuove un “cambiamento radicale” che include un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) che gli consentirà di ottenere “una quantità significativa di dollari”, tra 2 e 4 miliardi.
A livello commerciale, sostiene di seguire “l’esempio del Cile e del Perù”, raggiungendo accordi con grandi blocchi per promuovere le esportazioni. I principali mercati con cui cercherà di raggiungere accordi sono la Cina e l’India, così come gli Stati Uniti e l’Unione europea.
Quiroga vuole “smantellare il sistema di elezione delle alte cariche dell’organo giudiziario (magistrature della Corte Costituzionale, Corte Suprema di Giustizia, Consiglio della Magistratura e Tribunale Agroambientale)”, in modo da poter “garantire trasparenza e indipendenza nel sistema giudiziario”.
Nella sua politica estera opta per “un nuovo inserimento internazionale”, con il quale darebbe un cambiamento rispetto all’attuale amministrazione. “La Bolivia deve tornare sulla strada della democrazia, dell’indipendenza dei poteri, della certezza del diritto, e che quindi diventi un paese attraente per gli investimenti, sicuro per il turismo e affidabile per i prestiti”, dice il suo progetto.
Secondo la legge elettorale boliviana, affinché la carica di presidenza sia definita al primo turno, il candidato deve ottenere più del 50% dei voti o almeno il 40% con almeno 10 punti di vantaggio. In questo senso, i boliviani andranno di nuovo alle urne il 19 ottobre scegliendo uno dei due candidati della destra.
Andrea Puccio – www.occhisulmondo.info


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