LA RIVOLUZIONE ZAPATISTA COMPIE 30 ANNI SOTTO LA MINACCIA DEI PARAMILITARI, DEI NARCOTRAFFICANTI E DEL GOVERNO MESSICANO 

 

Lo zapatismo vive un ulteriore momento decisivo della sua storia. Il 1° gennaio il movimento festeggia 30 anni di resistenza in Chiapas, ma la presenza dei paramilitari e del narcotraffico nella regione comporta grandi sfide per gli indigeni autonomisti messicani. Il governo messicano, che non ha mai attuato le proposte concordate nel documento di San Andrés, firmato nel 1996, due anni dopo la rivolta, è stato, in un certo senso, omissivo nei confronti della regione. 

Questo mese è stata inaugurata la prima sezione del mega progetto Tren Maya [Treno Maya. NdT], un’attrazione turistica che porterà i viaggiatori nella penisola dello Yucatán. Il presidente Andrés Manuel Lopez Obrador, noto come AMLO, ha utilizzato l’opera come piattaforma politica per la successione presidenziale. 

Questa opera, tuttavia, dal potenziale devastante per l’ambiente e i territori indigeni, si aggiunge ad altre che saranno intraprese dal governo messicano. Questa prima tratta del Treno Maya comprende le città di Cancún e Campeche e dovrebbe estendersi ad altre zone indigene, compresa la regione zapatista, attualmente non coinvolta. 

Inoltre, la militarizzazione promossa da AMLO in Chiapas e in altri territori messicani ha stimolato la violenza e aggravato i conflitti nei territori indigeni. Ci sono diverse notizie di zapatisti rapiti da paramilitari e narcotrafficanti, ma anche di torture e arresti arbitrari da parte delle forze di sicurezza. 

Secondo l’antropologa Ana Paula Morel, autrice del libro “Un mondo che include molti mondi”, che racconta – dal suo punto di vista – i cammini della rivoluzione zapatista e come funzionano l’istruzione e i sistemi autonomi indigeni, la violenza in Chiapas si è intensificata negli anni recenti. “Questo ha fatto sì che gli zapatisti si sono via via resi conto della necessità di una ristrutturazione delle proprie istituzioni di governo autonomo e dell’organizzazione della vita collettiva, che è qualcosa di molto forte, molto consolidata nella regione”, afferma Morel. 

Lo scorso novembre, l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) ha diffuso un comunicato, firmato dal Subcomandante Moisés – il dirigente succeduto al mitico Subcomandante Marcos – in cui si evidenziano una serie di cambiamenti nelle strutture autonome dello zapatismo. Tra i cambiamenti c’è il decentramento del potere nella regione, che ora è concentrato nelle comunità e nei consigli locali. 

“Contrariamente a quanto molti si aspettavano, il movimento che di fronte ad una guerra avrebbe potuto centralizzare di più il potere con l’esercito e tutto il resto, ha fatto un passo proprio nella direzione opposta: un tentativo di decentralizzare il governo e un maggiore rapporto con la capillarità delle comunità autonome”, spiega Morel, che ha vissuto in Chiapas per un anno. 

“In questo momento nuovo e più difficile, il movimento sceglie di investire proprio in questo potere delle comunità, di organizzazione collettiva nelle comunità. Non sappiamo ancora concretamente come ciò avverrà, è una cosa che potremo monitorare nei prossimi anni, ma mi sembra una proposta molto interessante”. 

Ana Paula Morel è l’ospite di questa settimana e nella conversazione parla anche dei rapporti tra le lotte indigene nel mondo, compreso in Brasile, e del rapporto tra il movimento zapatista e il governo AMLO. 

“Per quanto riguarda specificamente López Obrador, c’è una grandissima diffidenza, iniziata prima della sua elezione, e che ha finito per confermarsi in tutto il periodo del suo governo, poiché una delle grandi basi di questo progetto di rielezione è proprio questo progetto del Treno Maya , che grava notevolmente sulle comunità. È qualcosa che porta davvero molta tensione e che allo stesso tempo allontana le possibilità di compromesso e composizione dei conflitti in questo contesto”, spiega l’antropologa. Di seguito l’intervista completa: 

José Eduardo Bernardes – Ana, sei l’autrice del libro “Un mondo che include molti mondi”, che è uno studio sullo zapatismo e il suo sistema di autonomia. Hai vissuto in Chiapas, parleremo dello zapatismo e di cosa sta succedendo attualmente, ma volevo conoscere la tua esperienza, di aver vissuto lì per un po’ e come ciò ti ha ispirato a scrivere questo libro? 

Ana Paula Morel – Il mio rapporto con lo zapatismo è iniziato nel 2013. Seguivo già il movimento, ma nel 2013 era la prima volta che andavo lì, insieme ad altri compagni e compagne che partecipavano con me ad un gruppo di educazione popolare qui in Brasile. Ed in questa occasione, il movimento ha realizzato un’attività aperta, come è solito fare, per aprire il dialogo con altri collettivi, con altre persone fuori dal Chiapas. E hanno creato questa iniziativa chiamata “Escuelita Zapatista”. Si è trattato di un momento in cui il movimento ha aperto le porte delle sue comunità affinché sostenitori e studenti potessero sperimentare, per un po’, la vita quotidiana di queste comunità. Si trattava quindi di una proposta educativa molto decolonizzante, perché gli insegnanti erano gli stessi zapatisti, indigeni maya delle comunità. E il contenuto di questa escuelita era proprio la vita quotidiana dell’organizzazione autonoma, il quotidiano delle comunità, come una scuola senza pareti. 

Questa esperienza è stata davvero memorabile per me, perché ho potuto conoscere e comprendere la forza del movimento, il livello di organizzazione che sono riusciti a costruire in questi anni. Ed in quel momento stavo iniziando il mio dottorato in antropologia, all’UFRJ (Università Federale di Rio de Janeiro), con il professor Eduardo Viveiros de Castro [eminente antropologo brasiliano. NdT] su di un altro argomento, ma ero così coinvolta dalla proposta della Escuelita Zapatista, che ho deciso di cambiare il tema del mio dottorato. 

È stato un cambiamento molto felice, perché qualche anno dopo sono tornata in Chapas per la ricerca vera e propria, nel 2015, e sono rimasta lì in totale per un anno. È stata un’esperienza davvero memorabile, perché ero lì come ricercatrice, ma anche come studentessa in diversi spazi educativi all’interno del movimento. Ho partecipato principalmente ad un centro di lingue maya in cui gli educatori erano gli zapatisti delle comunità. 

Questa esperienza al Centro Linguistico è ciò di cui parlo nel libro, che porta con sé un’intera teoria del dialogo tra il pensiero Maya e diverse altre tradizioni politiche presenti in questo ambiente integrato che è lo Zapatismo. La prospettiva del materialismo storico, il contributo della Teologia della Liberazione, insieme a tutto il pensiero Maya presente in questa composizione ideale. Si tratta di molti mondi che producono una teoria critica del capitalismo e della colonizzazione. 

José Eduardo Bernardes – Lo zapatismo sta attualmente vivendo un ulteriore periodo importante della sua storia. La lotta rivoluzionaria indigena compie 30 anni il 1° gennaio 2024, ma la guerra locale contro gruppi paramilitari e fazioni criminali ha portato lo stesso movimento a ripensarsi. Nel novembre di quest’anno, il subcomandante Moisés ha presentato alcune modifiche al sistema autonomo zapatista. Tra questi nuovi sviluppi, cosa ritieni sia più significativo nel suo comunicato? 

Ana Paula Morel – Sottolineerei innanzitutto l’analisi della congiuntura che gli zapatisti stanno sviluppando già da alcuni anni. Infatti, quando ero in Chiapas, un altro dei loro eventi a cui ho partecipato è stato un seminario di pensiero critico sull’Hidra Capitalista [il sistema parassita, mostruoso e crudele del neoliberismo finanziario. NdT], ed in quel momento stavano già analizzando il capitalismo, che stava entrando in una nuova fase di accentuazione delle disuguaglianze, di degrado delle condizioni di vita globali e di crescente violenza contro le comunità, le persone, i più poveri e il pianeta in generale. 

Sento che questa analisi della situazione è diventata sempre più esplicita ed è molto presente in questi ultimi comunicati. Soprattutto in Chiapas la situazione si è intensificata molto, con violenza. Si verificano diversi attacchi contro le comunità zapatiste, vari zapatisti sono stati arrestati di recente. E questo fa loro comprendere la necessità di una risistemazione delle proprie strutture di governo autonomo e dell’assetto della vita collettiva, che è qualcosa di molto forte, molto presente nella regione. 

A ciò si accompagna altresì un aumento delle attività del narcotraffico nella regione, anch’esso cresciuto molto in pochi anni. Quindi, sento che c’è un’analisi molto esplicita di questo nuovo momento più difficile e della necessità di una riorganizzazione interna, nel lungo processo di costruzione di una sorta di governo autonomo, per comprendere questa nuova situazione a livello locale. 

José Eduardo Bernardes – Non tutte le regioni del Chiapas hanno aderito allo zapatismo, vengono instaurati rapporti con i municipi, con le comunità locali che non sono zapatiste. Come funziona questo potere autonomo sempre più decentralizzato nelle mani delle comunità e non dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale? 

Ana Paula Morel – La questione della vita quotidiana delle comunità è una cosa di cui parlo un po’ anche nel libro. Spesso, quando si pensa al movimento zapatista, si ha l’idea di un vasto territorio continuamente controllato dal movimento. Quando lo si conosce da vicino, ci si rende conto di una realtà molto diversa. 

Se inizialmente, nel 1994, si verificò un grande sostegno al movimento – all’epoca circa il 90% dei contadini indigeni della regione integravano il movimento – con un intenso processo di riacquisizione delle terre, una grande mobilitazione, una notevole effervescenza lungo gli anni, sia con la militarizzazione che hanno affrontato una serie di politiche di controinsurrezione da parte di diversi governi, questa realtà a poco a poco si è trasformata. 

Ciò che accade attualmente nelle comunità è che a volte si verifica, in piccoli collettivi di 15, 20 famiglie, una doppia organizzazione della vita. Puoi trovare una scuola autonoma zapatista, una scuola statale o privata, un mercato di prodotti zapatisti e un negozio non zapatista. E questo succede anche in relazione al governo stesso e alla gestione della giustizia nei diversi ambiti della vita. Vi è una convivenza, infatti, fianco a fianco di diverse organizzazioni autonome, statali e private, che permeano le diverse comunità. 

A volte succede che, in una comunità di 20 famiglie, un vicino è zapatista e il cugino non è zapatista. Non si tratta di territori omogenei, queste diverse organizzazioni convivono in questo scenario di accresciuta violenza e crescente presenza di cartelli del narcotraffico. Da tempo il movimento allerta riguardo alla possibilità che scoppi una nuova guerra civile nella regione. 

I zapatisti, contrariamente a quanto molti si aspettavano, di fronte ad una guerra che avrebbe potuto determinare la centralizzazione di più potere sull’Esercito e tutto il resto, hanno fatto un passo in proprio nella direzione opposta, un tentativo di decentralizzare il governo stesso 

e alimentare maggiori rapporti con questa capillarità delle comunità, che è una delle grandi forze del movimento. Questo rapporto così organico con la vita quotidiana, con la costruzione collettiva, che comprende la risoluzione dei conflitti tra vicini, fino alla possibilità di organizzare una scuola autogestita. 

Si percepisce che in questo momento nuovo e più difficile, il movimento sceglie di investire proprio in questo potere delle comunità, di organizzazione collettiva nelle comunità. Non sappiamo ancora, concretamente, come questo avverrà, è una cosa che potremo monitorare nei prossimi anni, ma sembra una proposta molto interessante. 

José Eduardo Bernardes – Anche in questa dichiarazione l’ELZN promette di rafforzare la sicurezza e la difesa dei comuni zapatisti a causa di questi conflitti. C’è il rischio di un nuovo conflitto armato e di una guerra duratura nella regione? 

Ana Paula Morel – È difficile individuare il livello di intensità dell’attuale situazione, in qualche modo, la guerra non è mai finita del tutto. Anche se nel 1994 vi fu un cessate il fuoco della forma di guerra più diretta ed esplicita, questo conflitto non si è mai esaurito, soprattutto a causa dell’azione dello Stato messicano, che dal 1994 ha notevolmente aumentato la militarizzazione della regione. Attualmente, anche se il governo federale è apparentemente progressista, nella regione sono presenti diversi mega progetti di sviluppo. 

Uno di questi è il Treno Maya, il cui primo tratto è stato inaugurato in questo mese. Si tratta di un grande progetto turistico che attraversa diverse comunità nella foresta, motivo per cui incontra grande resistenza, sia da parte degli ambientalisti che delle stesse comunità indigene colpite. Questo primo tratto del Treno Maya va da Cancún a Campeche e non attraversa ancora i territori zapatisti, ma è previsto che il progetto futuro li involva. 

Tutto ciò porta grande tensione nella regione, sia a causa dei paramilitari, di questi mega progetti, sia della presenza della stessa criminalità organizzata. Quindi dire che non c’è alcuna guerra nella regione non è assolutamente vero. Sono diversi gli attacchi che subiscono le scuole zapatiste, che subiscono le basi di appoggio. Ora, quanto questo potrebbe intensificarsi o accentuarsi e anche con quale velocità è difficile dirlo. 

José Eduardo Bernardes – Come funziona questo rapporto con il governo centrale del Messico e le comunità zapatiste? Hai parlato di questa dualità di azione che esiste nei diversi territori, e ho già potuto parlare con alcuni compagni messicani che, in generale, hanno sentimenti diversi nei confronti di Manuel López Obrador. Per quanto si abbia questa idea che si tratti di un governo progressista, la sinistra e lo stesso Esercito Zapatista sostengono che Obrador sia complice delle violenze perpetrate nei territori autonomi. 

Ana Paula Morel – Il rapporto di questo movimento con i diversi governi del Messico ha tutta una storia, a partire dal 1994. Inizialmente si tentò di costruire alcuni accordi con il governo messicano, gli accordi di San Andrés, che in realtà sono documenti molto interessanti, che hanno suscitato la speranza di diventare un tentativo di poter trasformare in legislazione gli 

accordi di autonomia su larga scala in relazione ai popoli indigeni. Tuttavia, in pratica, questi accordi non sono mai stati effettivamente attuati dal governo. 

Dopo una lunga trattativa, con incontri e diversi mediatori coinvolti in questo processo, il movimento zapatista si è visto tradito dai diversi governi messicani e ha capito che quegli accordi non sarebbero stati messi in pratica. Si scommette quindi sempre più su di una costruzione di autonomia avulsa da specifiche politiche da parte dello Stato messicano. 

Ciò è possibile grazie ad un contesto molto peculiare di forte auto-organizzazione nella regione, che esiste in pochi posti al mondo a questo livello. Ad esempio, nel caso delle scuole in cui anch’io ho studiato, queste si impegnano ad organizzare un proprio sistema educativo autonomo, qualcosa che verrà costruito negli anni. 

Anche in relazione alla salute, gli zapatisti stanno costruendo le loro cliniche autonome, i loro promotori sanitari autonomi, e si allontanano sempre più da questa prospettiva di costruzione della trasformazione sociale attraverso la presa del potere. Come raccontato nel classico libro di John Holloway, “Cambiare il mondo senza prendere il potere”, che parla di questa prerogativa zapatista. 

Nei confronti specifici di López Obrador c’è una grande sfiducia, iniziata prima della sua elezione e che ha finito per confermarsi durante il suo governo, poiché una delle grandi basi del suo progetto di rielezione è proprio questo progetto del Treno Maya, che danneggia notevolmente le comunità. Si tratta di un opera che porta davvero molta tensione e che prende anche le distanze dalle possibilità di dialogo in questo contesto. 

José Eduardo Bernardes – Come sono collegate le lotte indigene nel mondo? Il Brasile, ad esempio, sta attraversando un momento estremamente pericoloso per le popolazioni indigene con l’approvazione, in tempi record, della proposta di legge al Congresso che restringe i diritti territoriali dei popoli indigeni e il ribaltamento del veto imposto dal presidente Lula. Nonostante la Corte Suprema abbia reso la legge incostituzionale, si è aperta una pericolosa scappatoia che potrebbe portare ad un’ondata di giurisdizione di casi simili. In Chiapas esiste una resistenza armata e un’organizzazione autonoma. 

Ana Paula Morel – È molto eterogeneo parlare in termini di organizzazioni indigene. In Brasile ci sono realtà diverse, a partire dall’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB), che ha svolto un importante ruolo di primo piano nella lotta contro la legge liberticida che citavi che, in qualche modo, articola molti leader di movimenti indigeni. Qui in Brasile, ad esempio, c’è la “Teia dos Povos” [la “Rete dei Popoli” è un’articolazione di comunità e territori autogestiti, movimenti sociali e gruppi di sostegno. NdT], che per certi versi è un po’ più vicina al movimento zapatista, in termini di costruzione di una prospettiva di autonomia, di articolazione di molti mondi. 

Vedo l’esperienza dello zapatismo come qualcosa di davvero unico, perché è iniziata come un’insurrezione armata, in un contesto in cui si diceva che la storia era finita, che il neoliberismo aveva trionfato. Essa ha una singolarità molto forte. Ma una cosa che il 

movimento stesso afferma è che non vuole essere un esempio da copiare dappertutto, con la stessa ricetta dello zapatismo, ma sottolinea proprio l’importanza della costruzione dell’autonomia, della resistenza basata sulla realtà dei diversi territori, della geografie diverse. 

Noi qui in Brasile, ad esempio, quando pensiamo in termini di istruzione, ci concentriamo molto sulle scuole pubbliche, sull’importanza di difendere le scuole pubbliche. Quindi penso che si tratti di intendere questa costruzione di autonomia come una possibilità di resistenza che non ha un modello unico, ma che si realizza a partire dalla realtà dei territori. Questa inoltre mi sembra un’idea molto legata al motto del mondo che include molti mondi. 

Ma, in realtà, c’è in atto in modi diversi, sia in Brasile che in Messico, un’offensiva molto forte contro le popolazioni indigene, che ha come centralità la questione della terra. Questione che attraversa tutta la storia del movimento e, di fatto, corre attraverso la lotta secolare di vari popoli.

 

José Eduardo Bernardes 

 

Traduzione: Alessandro Vigilante

Fonte: https://www.brasildefato.com.br/2023/12/26/revolucao-zapatista-completa-30-anos-sob-ameacas-de-paramilitares-do-narcotrafico-e-do-governo-do-mexico L’intervista su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=h1yJBk-IA_8

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