“MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO” DI ANTONIO EVANGELISTA“MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO” DI ANTONIO EVANGELISTA

“MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO” DI ANTONIO EVANGELISTA

 

E’ uscito recentemente nelle librerie il quarto libro di Antonio Evangelista intitolato ““MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO”, edito da Santelli editore, nel quale l’autore identifica il nostro mare, il Mediterraneo, quale scena dei crimini che sono avvenuti negli ultimi decenni. Antonio Evangelista grazie alla sua attività svolta nella Polizia di Stato ha avuto la possibilità di viaggiare in diverse parti dell’Europa  e del medio oriente. Ha partecipato come comandante della Polizia italiana in Kosovo con l’Onu, tra il 2000 e il 2004, investigando crimini di guerra, terrorismo, crimine organizzato, mafie balcaniche e corruzione. Successivamente dal 2010 al 2012 è consigliere del Ministro dell’Interno e del Direttore della Polizia della Republika Srpska in Bosnia Erzegovina con la missione della Unione Europea Eupm per il crimine organizzato, la corruzione e il terrorismo. Ha tenuto corsi e seminari su crimine organizzato e corruzione in Kosovo, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Moldavia e Cina quale membro della delegazione italiana al fianco del prof. Arlacchi Pino. Infine, è stato  dirigente dell’Interpol presso il Servizio Cooperazione Internazionale di Polizia a Roma ed è stato assegnato alla Giordania e regione circostante come esperto per la sicurezza dal 2015 al 2022. 

Queste esperienze personali gli hanno permesso di conoscere le vicende internazionali che hanno caratterizzato la storia recente del nostro paese e dell’Europa da dentro. Ha raccolto le sue esperienze in vari libri,  “MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO” può, in un certo senso, essere considerato la sintesi delle esperienze vissute da Antonio Evangelista durante la sua intensa vita lavorativa nella Polizia di Stato.

Il libro è scritto molto bene, la sua lettura è appassionante, potrebbe essere considerato un romanzo se non fosse che le vicende che Antonio Evangelista narra sono vere e non frutto della fantasia di un abile romanziere. La lettura è agevole, le storie si intrecciano con sapiente narrazione, lo stile romanzesco conferisce dinamicità alle vicende che vengono raccontate. Una volta iniziata la lettura vorremmo non interromperla mai tanto coinvolgenti  sono le vicende raccontate  da  Antonio Evangelista.

Sulle sue esperienze investigative Antonio Evangelista ha scritto tre libri: La torre dei crani, Editori Riuniti 2007 che analizza le mafie albanesi kosovare; Madrasse – Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa E.R. University press, 2009 che narra del terrorismo religioso nei Balcani e in Europa; Califfato d’Europa Iris Ed. 2016 che narra dei retroscena dell’assedio di Sarajevo e dei crimini dei paramilitari operativi in Bosnia Erzegovina.

 

Andrea Puccio: Tu sostieni, giustamente, che il gas è uno dei motivi delle crisi che oggi, come ieri, stanno destabilizzando il nostro mondo. Sappiamo bene che fine hanno fatto i gasdotti North Stream 1 e 2, ma altri gasdotti, come il South Stream e quello che doveva portare il gas dal Medio Oriente in Europa, sono stati causa di guerre e tensioni internazionali, ci puoi parlare del ruolo del gas nella geopolitica odierna?

Antonio Evangelista: Se guardiamo al Mediterraneo che è sostanzialmente il focus del mio ultimo libro – MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO – vediamo che in questa area, che io indico come ‘scena del crimine’, si affacciano la ex Jugoslavia – oggi frantumata in Serbia, Bosnia e Croazia – la Libia, l’Egitto, la Siria, il Libano, Israele e la Palestina con la striscia di Gaza. Tutti questi paesi sono accomunati nelle loro proiezioni geopolitiche energetiche dalla caratteristica territoriale della presenza di giacimenti di gas e gasdotti esistenti o progettati che attraversano il Mediterraneo muovono verso l’Italia che nel mare Nostrum è l’hub/snodo principale e naturale per servire l’intera Europa. E il sabotaggio che hai richiamato, a prescindere da chi ne risulterà responsabile, ne costituisce un riscontro evidente. Attualmente assistiamo impotenti al massacro di civili in Gaza a seguito dell’attacco terroristico di Hamas sui civili israeliani, alcuni dei quali ancora ostaggi dei miliziani jihadisti. Ma l’informazione del ‘mainstream’ non ha fatto parola del giacimento di gas al largo delle coste palestinesi noto come Gaza Marine. E se si guarda a questo aspetto si scopre che i giacimenti di gas al largo della costa di Gaza potrebbero avvantaggiare i palestinesi che importano elettricità da Israele a prezzi elevati.  Allora perché l’Autorità Palestinese ha bisogno di comprare e importare gas da Israele e dall’Egitto a caro prezzo quando ci sono due giacimenti di gas al largo delle coste di Gaza?

In altre parole, Gaza potrebbe diventare uno dei luoghi più ricchi della Terra dopo essere stata uno dei più poveri se le venisse dato il via libera per iniziare a estrarre e sfruttare commercialmente questa preziosa risorsa naturale al largo delle sue coste e invece nulla di tutto ciò, anzi. Gaza sta scomparendo sotto i bombardamenti di Benjamin Netanyahu e Haifa, porto di Israele, sarà l’unico scalo marittimo agibile sulla costa sud orientale del Mediterraneo atteso l’inagibilità di Beirut a seguito della ultima esplosione e di Tartus e Latakia in Siria spesso oggetto di attacchi israeliani. In pratica mi viene da pensare che Israele si avvii a diventare l’hub/snodo di gas dei paesi medio orientali, fatta fuori Gaza ovviamente… e ti pare poco? E Tutto ciò senza che i palestinesi siano riusciti a estrarre un solo metro cubo di gas. 

 

A.P.: La strage di Bucha ha molte somiglianze con un’altra strage, meno nota ma causa di un altro conflitto in Europa. Abbiamo appreso in queste settimane che a Bucha la strage è stata il pretesto per bloccare i negoziati tra Ucraina e Russia dello scorso anno, la strage di Racak compiuta nei Balcani nel 1999 dette il via ad un’altra guerra, cosa hanno in comune queste due stragi?

A.E.: Secondo me ci sono molte similitudini: la strage di Racak fu una strage ‘contraffata’ per usare le parole di Sandro Provvisonato nel suo libro ‘UCK: armata dell’ombra’ dove si descrive il cd. esercito kosovaro della liberazione e i suoi legami con mafia e politica kosovara. Ma Provvisionato era una ‘penna’ di rara indipendenza e schiettezza. Sì… Racak come Bucha sono state due stragi ‘contraffatte’ e nel mio libro MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO ne indico alcuni elementi ‘oggettivi’ a riscontro che, a quanto pare, non si vogliono o non si possono vedere. Qui voglio solo evidenziare come a Bucha i cadaveri ‘non sanguinavano’ e giacevano a terra ‘in fila’ a bordo strada… basta confrontare tali immagini con quelle della strage commessa da Hamas il 7 ottobre scorso in Israele dove si vede il sangue delle vittime che giacciono a terra e parimenti si vedono i giovani correre in tutte le direzioni, non in fila indiana, per fuggire alla furia di Hamas. 

 

A.P.: Conosci molto bene il medio oriente ed hai partecipato ad una missione in Giordania per studiare il fenomeno terroristico islamico, come avviene il reclutamento dei terroristi e che responsabilità ha l’occidente nella creazione dello Stato Islamico, conosciuto anche come ISIS?

A.E.: Premesso che la Giordania, con Tunisia e Arabia Saudita, ha prodotto il maggior numero di volontari che hanno scelto il Califfato, le ‘trappole’ del reclutamento richiamano in parte le procedure mafiose di ricerca di ‘soldati’! E in proposito ho avuto il piacere di confrontarmi con esperti giordani e medio orientali del settore in Amman.

Il Regno Hascemita di Giordania è in prima linea nella guerra contro lo Stato Islamico anche in ragione del fatto che i giovani giordani si sono dimostrati estremamente sensibili alla chiamata del jihadismo salafita, con migliaia di persone che si sono unite all’ISIS e ad altri gruppi radicali. I giovani giordani pronti alla radicalizzazione sono coloro che si sentono disperati in mezzo a un sistema educativo fallimentare e, in una certa misura, alle difficoltà economiche. Lo Stato Islamico deve solo gettare i suoi semi in questo terreno fertile che non mancherà di produrre i militanti e non solo in Giordania che comunque registra uno dei più alti tassi di reclutamento pro capite al mondo per i volontari dell’ISIS. E questo non include i circa 7.000 seguaci degli ideali salafiti-jihadisti che già circolano in Giordania indicati come simpatizzanti o fiancheggiatori e che possono comunque fare danni in patria. Convenzionalmente, i ricercatori hanno indicato la disoccupazione e la povertà quali fattori criminogeni e in effetti i reclutatori salafiti-jihadisti offrono ricompense finanziarie importanti per giovani che faticano a trovare lavoro e ruolo sociale. Tali offerte sono una leva potente nei campi profughi palestinesi o in remoti villaggi tribali, tutti gravati anche dalla tossicodipendenza e dalla criminalità. Ma l’economia non può spiegare tutto… molti combattenti giordani provengono anche da ambienti della classe media. Questi giovani hanno qualcos’altro in comune: un senso di disperazione che permea le loro vite, avendo perso la fiducia nelle istituzioni e allora la risposta diviene la risposta motivata dal desiderio di trovare un significato e uno scopo e così che l’immersione nell’Islam ‘malinteso’ offre ‘scopo e salvezza’. 

Nel 2016 il Center for the Study of Violent Extremism e Al-Quds Al-Arabi, stimavano che il numero di Giordani volontari dell’ISIS andava dai 1.500 ai 4.000, seppure i dati erano oggetto di dibattito. 

Per quanto riguarda le responsabilità dell’Occidente evidenzio che oggi il web contiene diverse foto, documenti e interviste che parlano del legame degli Stati Uniti con Al-Qāʿida prima e con lo Stato Islamico poi, dalle rivendicazioni pubbliche dell’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, Hillary Clinton, alle ammissioni sulla “tolleranza verso il Daesh” in chiave anti-Assad di John Kerry.

Il terrorismo religioso di stampo islamista che, dopo le guerre, si è radicato nei Balcani, dal Kosovo alla Bosnia, ha formato le menti di decine di orfani nelle madrase e fuori da queste. Poi è strisciato nel Vecchio Continente, nascondendosi nelle pieghe purulente della società.

Lo Stato Islamico ha spazzato il caos che regnava indistinto portando il suo ordine fatto di brutalità e terrore. Una campagna acquisti nella quale cattivi maestri reclutano i figli dimenticati di culture concentrate ossessivamente sul benessere materiale. È stato rivoluzionario a livello comunicativo. Secondo una ricerca della Quilliam Foundation, intitolata Documenting the Virtual Caliphate, nel 2015 lo Stato Islamico produceva una media di trentotto prodotti propagandistici al giorno, che variavano da video di una ventina di minuti a documentari sul Califfato, per proseguire con saggi fotografici, clip audio, opuscoli, in lingue che andavano dal russo al bengalese. Questa propaganda digitale, nel solo 2015, motivò oltre trentamila persone a mollare tutto e mettersi in viaggio per migliaia di chilometri verso la terra promessa, divenendo un sistema operativo open source.

A distanza di anni [dalle guerre iugoslave], nel 2014, la Central Intelligence Agency stimava come in Siria fossero presenti diverse centinaia di jihadisti provenienti dai Balcani, che oggi sono in parte morti, in parte restituiti alle autorità e in parte si sono spostati in Libia o in altri teatri di guerra.

Questo coacervo di banditi, mercenari, santoni e predicatori dell’ultima ora, questi soldati di Allah, esprime un fenomeno che non si esaurisce nell’uccisione dei miscredenti, ma che ha fatto delle miserie private dei suoi campioni la punta di una lancia che mira a Occidente.

Dal 2014 al 2016 lo Stato Islamico ha ispirato o compiuto circa 140 attacchi in cinque continenti, uccidendo più di duemila persone, creando al tempo stesso un centro di propaganda, formazione e informazione a portata di clic.

Re Abdullah II di Giordania ha denunciato che reduci dello Stato Islamico si stanno trasferendo: “migliaia di combattenti si sono spostati” da Idlib, in Siria, alla Libia, e questo rende il problema mediorientale un problema europeo. La dichiarazione è del 13 gennaio 2020, resa a France24.

È indubbio che lo Stato Islamico, sconfitto in Iraq e Siria, abbia lasciato sul campo il problema dei cosiddetti foreign terrorist fighter, ossia i volontari stranieri (né siriani né iracheni). Un problema complicato dalla presenza di 10.000 detenuti di vari gruppi terroristici siriani, tra i quali 2.000 combattenti dello Stato Islamico attualmente detenuti dalla SDF (Syrian Democratic Forces), sostenuti e alleati degli Stati Uniti, e 1.200 provenienti da più di 52 paesi del mondo. 800 di questi [1.200] provengono dall’Europa, in particolare da Belgio, Francia, Germania e Regno Unito.

 

A.P.: Un argomento che mi ha lasciato un po’ perplesso che tratti nel tuo libro è la questione dell’emigrazione, un tema che sempre viene usato per scopi politici dai nostri governanti. Tu scrivi che è stata un’arma usata per destabilizzare l’Europa, cosa è successo e perché?

A.E.: Nel Mediterraneo, nel mare nostrum, sta succedendo di tutto e non da ieri. Quando parliamo di questo mare dobbiamo rammentare quanti e quali sono gli interessi strategici dei paesi le cui coste vi si affacciano.

Sono decenni che nel Mediterraneo si muovono profughi delle guerre dovute alla ‘esportazione della democrazia’ della NATO e delle sue bugie, a cui si aggiungono i migranti economici, e l’Italia, che di questo mare è la porta di ingresso in Europa, come sempre da sola in prima linea.

Per venire ai giorni più recenti rilevo che negli ultimi sbarchi sembra predominante la presenza di emigranti ‘economici’ e proprio a ottobre scorso, in un’altra intervista, rilevavo che avevo letto un tweet interessante che mi aveva rammentato una situazione simile risalente all’ondata di migranti che interessò Germania e Austria nell’estate 2015 e mi spiego.

Un tweet datato 14 settembre 2023 del reporter Erik Tegnér riferisce:

“Ho appena parlato con 4 maliani e 1 guineano (18 anni). 3 mesi di viaggio via Algeria/Tunisia. Sorprendentemente, nessuno ha pagato la traversata per arrivare qui a #Lampedusa. A corto di cibo nel centro, aspettano il cibo fuori dai ristoranti. La gente del posto li serve.”

Ora, come ho descritto meglio nel mio ultimo libro, andiamo indietro di qualche anno, quando la Germania e l’Austria si sono trovate a fronteggiare un’ondata di profughi che arrivavano prevalentemente da Siria e Medio Oriente. Un’analisi del prof. Vladimir Shalak esaminò il flusso di tweets relativi a quell’onda di rifugiati – che si riversarono sulle coste della Grecia, via Turchia, per raggiungere Germania e Austria  – e scoprì, con un programma denominato Scai4Twi [5], che diciannovemila tweets ricevuti dagli immigranti diretti in Germania (hashtag #refugee), indicavano Germania (50%) e Austria come paesi più accoglienti, di fatto orientavano il flusso dei rifugiati. Il 93% dei tweets dedicati alla Germania inneggiavano “Wilkommen” ai profughi. Tra i messaggi più virali quello lanciato da Lotte Leicht, allora Direttore dell’agenzia Human Rights Watch in Bruxelles, il 30 agosto 2015 e quello del Washington Post datato 1° settembre 2015. Poi il prof. Shalak indagò sulla provenienza dei tweets e scoprì che solo il sei per cento di questi arrivavano dalla Germania! Quasi la metà provenivano da Regno Unito, U.S.A., Australia, Canada e India. Siriani, afghani, africani erano invitati a casa della Germania e dell’Austria da terzi estranei. Perché? Un messaggio amichevole tra Stati?

Mentre questo succedeva i Servizi Segreti austriaci denunciavano l’esistenza di organizzazioni U.S.A. che, secondo un dipendente della difesa austriaca, pagavano i contrabbandieri che portavano migliaia di rifugiati in Europa.

Nello stesso periodo venni a sapere da conoscenti volontari in organizzazioni che aiutavano questi migranti in Italia che molti di loro avevano avuto il ‘biglietto pagato’ per attraversare il Mediterraneo. Esattamente come riferito dal reporter francese Tegnér a proposito degli ultimi arrivati a Lampedusa.

Allora… ricordo che quando ero in Polizia due coincidenze erano un ‘indizio’! 

 

A.P.: Nel tuo libro parli dell’omicidio del ricercatore italiano Guido Reggeni, secondo te cosa si nasconde dietro questo omicidio? Si può parlare di omicidio politico?

A.E.: Io parlerei di ‘gangsterizzazione della geopolitica energetica’… credo che il giovane Regeni sia stato usato e sacrificato a sua insaputa per rovinare i rapporti tra Italia ed Egitto e ancora… per ragioni energetiche di sfruttamento giacimenti di gas al largo della costa egiziana!

 

A.P.: Hai scritto altri tre libri in cui, grazie alle tue esperienze, ci fai conoscere le vicende che hanno animato il Mediterraneo, questo ultimo tuo lavoro si può considerare un ulteriore approfondimento?

A.E.: Chiudo il cerchio con “MEDITERRANEO, STESSO SANGUE STESSO FANGO” edito da Santelli editore: voglio dire che cerco di smascherare la macchina del fango di certa informazione, spesso strumento di operazioni di disinformazione, dopo aver parlato nei precedenti libri di mafie albanesi, terrorismo e gruppi paramilitari… tutti nei Balcani. 

 

 

Andrea Puccio – www.occhisulmondo.info

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