I nuovi membri dei BricsI nuovi membri dei Brics

L’ASCESA DEI BRICS – (PARTE I)

 

L’AMPLIAMENTO DEI BRICS ULTERIORE PASSO IN AVANTI NELLA RIDEFINIZIONE DEGLI ASSETTI GEOPOLITICI E GEOECONOMICI INTERNAZIONALI

 

Il Bric: da aggregato geoeconomico a soggetto geopolitico 

La genesi dell’acronimo Bric viene ricondotta all’economista inglese Jim O’Neil quando a fine 2001 in un documento, redatto in qualità di Chief Economist della Banca di investimenti Goldaman Sachs, identificò il nuovo aggregato geoeconomico composto da Brasile, Russia, India e Cina come il gruppo di Paesi che, in base a caratteristiche comuni, avrebbero verosimilmente dominato l’economia mondiale del secolo appena iniziato. Pertanto, secondo O’Neil, agli Stati Uniti per poter mantenere la leadership globale anche nel XXI secolo sarebbe stato dunque necessario inglobarli nella governance economica e finanziaria mondiale egemonizzata fino a quel momento dal sistema occidentale.

I quattro paesi risultavano, infatti, accomunati da alcune caratteristiche simili da consentir loro nell’arco  di alcuni lustri di posizionarsi nei piani alti della graduatoria delle potenze economiche mondiali: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e prospettive di forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale.

La tesi sostenuta da O’Neal non venne, tuttavia, pienamente percepita nella sua portata strategica negli ambienti di Washington, in quegli anni, peraltro, impegnati nella ridefinizione dell’assetto geopolitico mediorientale con gli interventi militari in Afghanistan e Iraq.  Finì, invece, per fornire un inaspettato input aggregativo per i quattro paesi che fino ad allora avevano scarsamente cooperato dal punto di vista economico e geopolitico, i quali, a partire dal settembre 2006, iniziarono ad effettuare annualmente riunioni informali a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. 

Il primo incontro ufficiale dei Bric a livello di Capi di Stato e di governo, che sancì il varo dell’aggregato geoecomico, si tenne a Toyako in Giappone il 9 luglio 2008 a margine del vertice del G8, allora comprendente anche la Russia. Le successive riunioni ufficiali ai massimi livelli di rappresentanza si tennero a  Ekaterinburg  in Russia il 16 giugno 2009 e a Brasilia il 15 aprile 2010, gettando le basi per la graduale trasformazione del BRIC da semplice aggregato geoconomico in raggruppamento geopolitico caratterizzato dall’attuazione di strategie condivise. 

Tale processo evolutivo prese le mosse dalla prima rilevante posizione comune assunta in ambito ufficiale internazionale: l’astensione in sede di Consiglio di Sicurezza sulla Risoluzione 1730 sulla Libia dell’11 marzo 2011. Infatti, oltre a Russia e Cina membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, vi erano presenti, fra i 10 a rotazione, anche Brasile e India risultando, insieme alla Germania, i 5 paesi ad astenersi sulla Risoluzione. La quale con forzature interpretative da parte francese, britannica e statunitense avrebbe a breve portato all’intervento della Nato contro le forze armate di Gheddafi e alla destrutturazione dello stato libico.

L’adesione del Sudafrica 

Nel settembre 2010, le quattro potenze emergenti hanno convenuto di invitare la Repubblica Sudafricana a partecipare alle riunioni del BRIC, per offrire rappresentatività anche al continente africano nel contesto del gruppo che aspirava a porsi alla guida del Sud globale. A partire dal successivo vertice di Sanya in Cina del 14 aprile 2011 si è aggiunto quindi il Sudafrica, determinando l’evoluzione dell’acronimo in BRICS e fornendo nuova linfa al processo di trasformazione. 

Fin dalle prime riunioni ai vertici è emerso che tali potenze emergenti non condividevano solamente lo status economico comune di potenze emergenti ma che le loro finalità avrebbero assunto anche carattere geopolitico. Infatti, facendo leva sul crescente ruolo rivestito nel contesto dell’economia mondiale, il raggruppamento ha iniziato a rivendicare la necessità di realizzare un nuovo equilibrio interno all’ordine economico-finanziario mondiale che superasse quello imposto dagli Stati Uniti tramite gli Accordi di Bretton Wood del 1944. I quali sancirono, fra le varie, il ruolo centrale del Dollaro nelle transazioni internazionali e la fondazione delle due istituzioni finanziarie mondiali a guida occidentale: Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e Banca Mondiale (Bm). 

L’ampliamento ha permesso al gruppo di acquisire una maggiore rappresentatività geografica e consapevolezza geopolitica, accentuando in tal modo il suo carattere dinamico e multipolare. Tuttavia, interpretare il BRICS come un blocco con caratteristiche omogenee non sarebbe risultato corretto né un decennio fa, agli inizi della loro ascesa, né tanto meno oggi in piena fase di ampliamento. Nel 2012 sussistevano, al pari di oggi, significative differenze non solo nella potenza economica (Pil totale), con la Cina già al secondo posto della graduatoria mondiale dal 2010 e il Sudafrica, a causa del suo peso demografico limitato, posizionata la 29° posto a sensibile distanza dagli altri quattro, ma anche nella superficie con India e Sudafrica distanti dagli altri tre, veri e propri sub-continenti. Oltre a diversità nel modello economico, nel livello di sviluppo economico (Pil pro capite) e tecnologico e in campo militare, in quest’ultimo con ruolo nettamente prevalente della Russia. 

A livello militare nel 2012 i Brics non risultavano in grado di proiettare una propria potenza a livello militare e il gap con i soli Stati Uniti assumeva dimensioni considerevoli visto che la loro quota di spesa militare mondiale, nell’anno in questione, secondo il Sipri rappresentava il 19,5% del totale, al cospetto del 39% di Washington.

I progetti infrastrutturali: strumento d’espansione dell’influenza

Nel 2012, come d’altronde oggi, sussistevano alcuni fattori di divergenza soprattutto fra i membri asiatici. Russia, Cina e India evidenziavano, infatti, aspirazioni di espansione della loro influenza su porzioni del continente asiatico le quali, col tempo, sono andate consolidandosi ed anche interconnettendosi: Mosca in Asia Centrale, in Siria e in parte del Mondo arabo e in Africa, mentre Pechino, negli anni, è riuscita a stringere un’alleanza strategica col Pakistan e ha ampliato il raggio della propria influenza con il grande progetto infrastrutturale delle Nuove vie della seta (Bri – Belt and Road Initiative) lanciato da Xi Jimping nel 2013, nel cui contesto rientra anche il corridoio Cina-Pakistan (carta 1). New Delhi invece, in ritardo rispetto alle altre due potenze emergenti asiatiche, a partire dal 2015 ha progressivamente intensificato i rapporti con Teheran con l’obiettivo di creare una sinergia infrastrutturale in grado di aggirare via mare il Pakistan, suo storico avversario, e di raggiungere l’Asia centrale via terra. In particolare la sinergia indo-iraniana ha inizialmente portato alla progettazione del corridoio India-Afghanistan-Iran incentrato sul porto iraniano di Chabahar sul mar Arabico. 

L’origine della collaborazione infrastrutturale euro-asiatica risale addirittura al maggio 2002 quando India, Iran e Russia hanno sottoscritto il North South Corridor Trasporter (Nsct) al quale successivamente si sono aggiunti altri 10 stati: Azerbaigian, Armenia, Bielorussia, Turchia, Kazakistan, Oman, Tagikistan, Kirghizistan, Siria, Ucraina (che probabilmente abbandonerà) e la Bulgaria come paese osservatore.

Parallelamente al processo di ampliamento del Nsct, nel 2016 è entrato in vigore l’Accordo di Ashgabat finalizzato allo sviluppo di una rotta di trasporto fra il mar Arabico e l’Asia centrale che è stato sottoscritto da Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan e Oman, al quale ha aderito anche l’India nel 2018. 

La convergenza strategica fra i due progetti, a seguito anche dell’accelerazione impressa dell’escalation del conflitto in Ucraina nel febbraio 2022 e delle misure restrittive che hanno isolato la Russia a Occidente, è sfociata nella realizzazione dell’International North South Corridor Trasporter (Insct). Un progetto infrastrutturale multimediale, navale, ferroviario e stradale, che si estende per 7.200 km tra India, Iran Azerbaigian, Asia Centrale, Russia ed Europa, interconnesso alla rotta ferroviaria meridionale della Via della seta cinese. 

Il percorso è principalmente incentrato sul trasferimento di merci lungo l’asse strategico India – Iran – Azerbaigian – Russia, in alternativa alla più lunga e costosa rotta del Canale di Suez, assumendo particolare valenza geopolitica e geostrategica per Russia e Iran, entrambi soggetti alle sanzioni statunitensi. 

Il Corridoio Internazionale di Trasporto Nord – Sud è diventato operativo dal 7 luglio 2022, quando la società russa RZD Logistic ha annunciato di aver effettuato con successo il suo primo trasporto di merci in India per mezzo di questa infrastrutturale multimediale che offre, in base ad uno studio condotto dalla Federazione delle associazioni degli spedizionieri in India (FFFAI), un risparmio del 30% in termini di costi ed è del 40% più breve rispetto alla rotta di Suez (carta 2).

Come emerso dagli sviluppi della collaborazione infrastrutturale, si era, dunque, inizialmente in presenza di potenze emergenti fra loro potenzialmente competitive, le cui comuni prospettive geopolitiche col tempo hanno spinto per il superamento delle divergenze e delle controversie a favore di una crescente cooperazione strategica, pur mantenendo i rispettivi progetti di sviluppo nazionali.

Verso un Nuovo ordine internazionale

Sin dalla sua strutturazione, il percorso evolutivo del Brics ha indubbiamente beneficiato degli sviluppi delle dinamiche internazionali sia di carattere economico che geopolitico-militare.  

L’aumento della loro rilevanza nel contesto dell’economia mondiale, oltre che da fattori strutturali come i più alti tassi di crescita che fisiologicamente caratterizzano le economie in via di sviluppo rispetto a quelle avanzate, è stato favorito anche da fenomeni contingenti. In primis la crisi economica, innescata dalla bolla dei mutui subprime sul mercato finanziario statunitense, la quale se da un lato ha investito, nel biennio 2008-2009, gli Stati Uniti, l’Eurozona, gli altri Paesi europei e il Giappone spingendoli nella più grave recessione dal 1929 (grafico 1), dall’altro ha solo parzialmente colpito i paesi del Bric. Nello specifico, se Sudafrica e, soprattutto, Russia, sono scese in terreno negativo, Cina e India hanno subito solo un rallentamento nella crescita (grafico 2). 

Tale divergente dinamica economica ha inciso sulla rimodulazione della distribuzione del Prodotto Lordo Mondiale a beneficio del Brics, la cui quota nel 2014 era arrivata al 22%, quando nel 2008 risultava del 15% e nel 2002 del 9%. 

Mentre i paesi del G7 dal 63% del 2002 erano già discesi al 52% nel 2008 e ripiegati ulteriormente al 47% nel 2014 (grafico 4), a seguito anche della crisi del debito sovrano dei paesi periferici dell’Eurozona (2012-2014) che, gestito con politiche di austerità fiscali dai “rigoristi” di Bruxelles, ha causato una nuova recessione nell’Eurozona nel 2012 e in Grecia, Italia, Spagna e in Francia anche nel 2013.

Nuove istituzioni finanziari internazionali

Parallelamente, pure le dinamiche di carattere geopolitico e militare hanno impresso una significativa accelerazione sia al processo di integrazione del Brics, che all’ampliamento dei propri obiettivi. 

In particolare, le vicende legate alla crisi Ucraina del 2014, sfociate nel colpo di stato di piazza Maidan ai danni del presidente Yanukovich, la revoca dell’autonomia agli Oblast del Donbass da parte di Kiev poi sfociata in conflitto armato e l’annessione russa della Crimea con le conseguenti nuove sanzioni economiche comminate a Mosca dall’Occidente, compresa la sospensione dal G8, hanno fornito elementi di riflessione e spinto ad importanti decisioni riguardanti persino l’architettura economico-finanziaria internazionale. Infatti, nel successivo vertice di Fortaleza in Brasile del luglio 2014 i paesi del Brics hanno  affrettato i tempi procedendo alla fondazione della Nuova Banca per lo Sviluppo (New Developement Bank  Brics – Ndb Brics) e di un fondo di riserva. La decisione di realizzare istituzioni finanziarie alternative rispetto a quelle create a Bretton Woods, Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e Banca mondiale (Bm), era già stata assunta nel precedente vertice di Durban in Sudafrica del marzo 2013, a seguito del rifiuto dei paesi del G7 di riformare il Fmi attuando una più equa distribuzione delle quote di voto a beneficio dei paesi emergenti.

La questione dello scontro in seno al Fmi fra Cina e Stati Uniti è risultata paradigmatica della contrapposizione strategica che si svilupperà negli anni seguenti fra le prime due economie mondiali. In breve i fatti. 

Risale al 2010 l’ultima volta che il Fmi aveva modificato il sistema delle quote, queste ultime consistenti nelle partecipazioni azionarie dei vari stati al capitale del Fondo, che grosso modo corrispondono ai relativi diritti voto e, in linea teorica, avrebbero dovuto essere proporzionali al peso di ciascun stato nell’economia mondiale. Tuttavia, in una fase di trasformazioni degli equilibri geoeconomici globali, nel 2010 nonostante la Cina ricoprisse, in termini di Pil nominale, il 9% dell’economia mondiale, le venne assegnata solo una quota del 6,08% a causa della strenua opposizione degli Stati Uniti. Washington, infatti, risultò irremovibile nel suo intento di far rimanere come secondo possessore di quote in seno al Fmi il Giappone col 6,14%,  quantunque la sua economia corrispondesse nel 2010 al 6,80% di quella mondiale. 

Nonostante nominalmente le quote sarebbero dovute essere aggiornate ogni 5 anni, la Cina continua a mantenere invariata la sua quota del 6,08% dal 2010, anche se la sua economia in rapida ascesa è arrivata nel 2023 a rappresentare il 18% di quella mondiale. Tale immobilismo è dovuto al fatto che gli Stati Uniti, pur essendo sottorappresentati in termini di diritti di voto rispetto al suo ruolo nell’economia mondiale, circa il 25%, con il suo 16,5% detiene un sostanziale diritto di veto sulle decisioni più importanti del Fondo, le quali necessitano della maggioranza qualificata dell’85% dei voti. In tal modo gli Stati Uniti hanno continuato sino ad oggi a bloccare l’ascesa della Cina e di altri paesi emergenti in seno al Fmi, a beneficio del Giappone e dei paesi europei. 

Una situazione che ha scatenato recenti forti tensioni fra XI Jimping e Lula, da un lato, e gli Stati Uniti, dall’altro, nel round negoziale iniziato nel 2023, il quale, nonostante tutto, il 7 novembre  scorso è scaturito in un accordo in seno al Consiglio esecutivo del Fondo che prevede un aumento del 50% della quota contributiva di ciascun membro, senza tuttavia modificare i rapporti di partecipazione preesistenti. La delibera dovrà passare al vaglio dell’approvazione con una maggioranza dell’85% dei voti ma, dati i rapporti di forza esistenti, sussistono pochi dubbi sul fatto che venga respinta. Una decisione che sta alimentando ulteriori tensioni fra Washington e i Brics e che ignora le richieste del Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, il quale senza mezzi termini aveva invitato ad un riallineamento delle quote alle mutate condizioni geoeconomiche mondiali, essendo a suo dire necessario “riformare un’architettura finanziaria internazionale che è obsoleta, disfunzionale e ingiusta”. 

La mission strategica delle nuove Istituzioni finanziare internazionali, si legge nel sito della Ndb,  è quella di “finanziare progetti e trovare soluzioni su misura per contribuire a costruire un futuro più inclusivo, resiliente e sostenibile per il pianeta” tramite la creazione di partnership al fine di “integrare gli sforzi istituzioni finanziarie multilaterali e regionali per sostenere la crescita e lo sviluppo globali”. 

La grande innovazione introdotta dalle nuove istituzioni, tuttavia, è costituita dal diverso approccio nell’erogazione dei finanziamenti che, infatti, vengono concessi sia ai paesi emergenti che alle altre economie sviluppate, individuandone di concerto gli obiettivi, in genere infrastrutturali, ma, soprattutto, senza subordinarli all’imposizione di vincoli e di politiche neoliberiste, le quali fino ad oggi hanno contribuito al peggioramento delle condizioni economiche e soprattutto sociali dei paesi “beneficiari”. L’Argentina ne costituisce un fulgido esempio sia in relazione ai prestiti concessi durante la presidenza Menem, in cambio del cosiddetto “Washington Consensus”,  poi sfociati nel default del 2001, sia quello del 2018 sotto la presidenza Macri di ben 45 miliardi di $, il più imponente della storia del Fmi, che ha spianato la strada all’attuale crisi economico-sociale e all’ascesa del populista di estrema destra, Milei alla guida del Paese.  

La sede della Ndb è stata stabilita fin dalla fondazione a Shangai, in virtù della maggior contribuzione di capitale da parte della Cina, ed è divenuta operativa l’anno successivo nel 2016, con grandi prospettive e attese da parte dei paesi in via di sviluppo, anche alla luce della dotazione di un capitale autorizzato di 100 miliardi di $. 

Il fondo di riserva, attivato in parallelo con Ndb, ha assunto la denominazione di Contingent Reserve Arrangement (Cra) ed ha come obiettivo primario la riduzione della dipendenza dei paesi Brics da fonti esterne di finanziamento, cercando di offrire un’alternativa al Fmi in qualità di prestatore di ultima istanza. In sostanza, fornisce due tipi strumenti, di liquidità e precauzionali, per far fronte a pressioni a breve termine, reali o potenziali, sulla bilancia dei pagamenti. 

Il Cra, prevede un impegno finanziario di 100 miliardi di $, al quale la Cina contribuisce per 41 miliardi, Russia, India e Brasile per 18 miliardi e Sudafrica per 5. Tuttavia, l’accesso massimo ai fondi che i membri possono richiedere è della metà del capitale conferito per la Cina (21 miliardi), corrispondente per Russia, India e Brasile (18 miliardi) e del doppio per il Sudafrica (10 miliardi).

Il carattere plurilaterale ed inclusivo delle nuove istituzioni emerge anche dalle finalità strategiche prefissate dai fondatori che risultano, non tanto di apportare una semplice rottura nell’ordine finanziario internazionale a guida statunitense, quanto di creare una possibile alternativa sia a livello di gestione dei prestiti che in merito al Sistema Monetaria Internazionale (Sim) incentrato sull’egemonia del dollaro. Contemplano, inoltre, un significativo sforzo per promuovere l’integrazione economica e la cooperazione tra le economie emergenti in un ottica di sviluppo delle relazioni internazionali all’interno di un quadro multipolare.

 

Andrea Vento –

Gruppo Insegnanti di geografia Autorganizzati

 

IL BRICS CONFERISCE NUOVO IMPULSO AL PROCESSO DI INTEGRAZIONE SUD – SUD

 

Nella dichiarazione finale del vertice del 16 luglio, i 5 presidenti affermano “l’impegno dei Brics a incentivare i meccanismi d’integrazione economica e di governo regionale latinoamericano come Mercosur, Unasur e Celac. Si rinsalda la cooperazione politica ed economica fra i paesi Brics e l’America Latina”. Il giorno seguente infatti si svolse la riunione 16 presidenti Brics-Unasur: impegno a favorire il commercio e la cooperazione economica fra le economie in via di sviluppo, in un’ottica di sviluppo delle relazioni sud-sud riducendo la dipendenza dalle economie sviluppate. 

L’Unione Economica Euroasiatica nasce dalla precedente Unione Doganale Euroasiatica alla quale avrebbe dovuto aderire anche l’Ucraina. Entra in vigore il 1 gennaio 2015 con l’obiettivo di “garantire la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e della forza lavoro e condividere una politica comune nelle aree chiave dell’economia: energia, industria, agricoltura e trasporti” 

Un avvicinamento fra le due potenze era in atto da un decennio, tuttavia, le sanzione occidentali contro la Russia hanno solo accelerato la sottoscrizione dell’accordo del 20 giugno 2014 per la fornitura del gas russo e condizioni più vantaggiose per la Cina, una intensificazione della cooperazione economica, degli scambi commerciali e della fornitura di armamenti russi  

 

Nell’aprile del 2023 la presidenza della Ndb è stata assunta da Dilma Rousseff, un incarico dall’alto valore sia simbolico in quanto da capo di stato del Brasile 2010-2016, si era impegnata a fondo per la sua realizzazione, ma anche concreto, in quanto sarà chiamata a gestire l’attuale fase di transizione dell’ordine monetario internazionale verso un riequilibrio a favore della valuta principale dei Brics, in rapida ascesa negli ultimi anni, lo Yuan cinese.

 

La BRICS Development Bank ha rappresentato un punto di svolta nel mondo della finanza fornendo una piattaforma affinché le economie emergenti possano accedere al capitale tanto necessario per i loro progetti di sviluppo. La Banca è stata in grado di liberarsi dalle catene delle istituzioni finanziarie consolidate dominate dall’Occidente, il che è stato visto come un cambiamento significativo nel mondo della finanza. La Banca è stata in grado di sostenere diversi progetti di sviluppo nei paesi membri senza imporre alcuna condizione, il che è stato visto come un cambiamento significativo rispetto alle istituzioni finanziarie consolidate.

Dall’inizio delle sue operazioni, la Ndb ha finanziato quasi 100 progetti con dei prestiti di circa $34 miliardi. I progetti sostenuti e finanziati dalla Ndb sono principalmente nei settori delle infrastrutture di fondamentale importanza per lo sviluppo economico e sociale di un paese (acqua, agricoltura, educazione, energia, sanità, trasporti, eccetera) che in genere non attraggono l’interesse delle grandi banche commerciali e d’investimento. L’espansione dei membri della Ndb e conseguentemente della sua base di capitali contribuirà ad ampliare nei prossimi anni il raggio d’azione di questa istituzione e quindi il ruolo che i Brics intendono assumere di promotori e sostenitori di processi di sviluppo. Secondo alcune attendibili previsioni, entro il 2030, la Ndb potrebbe raggiungere uno stock di prestiti di $350 miliardi che supererà l’ammontare globale dei finanziamenti erogati dalla Banca Mondiale a favore di tutti i paesi emergenti e in via di sviluppo.

Un’altra questione urgente sulla quale da alcuni anni i Brics insistono e si sono anche espressi con veemenza è la necessità di un’architettura finanziaria globale sostenibile in grado di supportare un sistema commerciale e di investimento di interdipendenze che non dipenda da una moneta unica.

Il Brasile, la Federazione Russa, l’India, la Cina e il Sud Africa (BRICS) formano oggi uno dei blocchi economici più importanti del mondo, rappresentando più di un quarto del PIL globale e il 42% della popolazione mondiale. sul 30% del territorio e sul 18% delle esportazioni mondiali

https://unctad.org/publication/brics-investment-report

Prendendo come riferimento iniziale proprio il 2003 e inserendo fin da subito nel conteggio il Sudafrica, i BRICS hanno quasi triplicato il loro peso sul Pil nominale globale, passando dall’8,9% del 2003 al 26% del 2022. 

È pur vero che i BRICS restano ancora indietro in termini di Pil pro capite, con una media pari a 9.265 dollari nominali(19.328 in PPA) contro una media dei Paesi G7 pari a 47.958 (58.652 in PPA) e mondiale pari a 12.875.

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